Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione. (Marguerite Yourcenar)

Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione. (Marguerite Yourcenar).

Lo so non siamo su Twitter e partire con una citazione sia nel titolo di questo post che all’inizio dello stesso farebbe venire l’orticaria a qualsiasi giornalista che si rispetti.

Ma vogliate concedermi questa sorta di licenza poetica, sia che siate dei puristi della forma sia che siate semplicemente degli amanti delle regole didattiche in ogni qualsivoglia forma.

In realtà è proprio questo che intendo combattere sin dall’inizio di questo articolo: l’agire comune frutto del pensiero giusto, sensato, quello sulla cui falsariga in molti tracciano la propria ( piatta ? ) esistenza.

L’altro giorno pensavo alle confidenze di conoscenti che si ritrovano ad avere un ruolo di dirigente in qualche ufficio locale distaccato magari di qualche grande azienda, multinazionale o padronale/familiare e che cominciavano ad avere qualche “prurito” di ribellione dopo anni di onorato servizio, con vocazione costante verso l’inzerbinamento fantozziano ( un mix tra il nobile zerbino che trovate in ogni pianerottolo e il ragionier Fantozzi sempre pronto a subire qualsiasi tipo di angherie da colleghi e, soprattutto superiori. )

Diciamoci la verità, molto spesso queste persone non sono state scelte per meriti oggettivi, anzi, spesso sono stati scelti proprio per il loro fantozzismo.

Quindi l’altra sera quando mi è parso di comprendere che in ognuno di loro soffiasse un alito di rivoluzione da scatenare contro i propri superiori, diventando improvvisamente tutti dei provetti Braveheart, scusate, ma sono scoppiato a ridergli in faccia.

Davvero credete che dopo 10 anni che siete stati mansueti come agnellini, subendo magari ogni sorta di angheria pur di tenervi quel ruolo da ostentare magari davanti al panettiere di fiducia di qualche piccolo sperduto paese di provincia, possiate permettervi anche solo un giorno da leoni?

Ormai è tardi!

Oppure credete che finalmente quando riuscirete a dire ciò che davvero pensate come Fantozzi quando espresse il suo giudizio lapidario sulla Corazzata Potemkin, vi sarete liberati finalmente da quella sorta di giogo pesante che oggi dopo anni e anni di onorato servizio comincia a pesarvi?

Attenti, perché poi se vi sfogate, per un attimo sarete degli eroi ma passato qualche tempo ( solitamente non molto lungo ) rischiate di finire travolti da uno tsunami e, se per 10 anni vi faceva paura persino una leggera brezza di mare, vi consiglierei di lasciare perdere.

 

 

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Elogio del trasformismo ( e scusate il ritardo ma sono stato un po’ impicciato…)

Mi ha colpito molto la scomparsa di Giorgio Faletti.

Non tanto perché avessi letto tutti i suoi libri ( in realtà neanche uno ) ma perché mi affascinava molto il percorso di vita che aveva caratterizzato la sua esistenza.

Qualcuno in questi giorni, anche davanti alla scomparsa dell’artista, non aveva esitato a qualche commento laconico in cui lo ricordava più per il suo personaggio Vito Catozzo nel famoso programma “Drive In”piuttosto che come scrittore affermato.

Eppure, lui era riuscito a cambiare vita. E non una volta sola.

Il ruolo ( perfetto ) da caratterista gli andava stretto e andò addirittura a gareggiare a Sanremo nel 1994 con quel: “Signor Tenente” che lo fece arrivare secondo, in quegli anni ancora sotto choc per gli assassini di Falcone e Borsellino, gli attentati del 1993 a Milano e Firenze e con un testo da brividi che raccontava le ansie, le paure e le frustrazioni di un agente di polizia costretto a: “Farsi ammazzare per poco più di 2 milioni al mese, minchia signor Tenente”.

Quel brano arrivò secondo ( primo si classificò: “Passerà” di Aleandro Baldi ) e vinse meritatamente il Premio della critica.

Già questo primo passaggio è formidabile, passare dal cabaret alle serate al Derby di Milano per poi ottenere successo come comico arrivando a Drive-In con la guardia giurata Vito Catozzo fino a sfidare completamente la sorte e se stessi reinventandosi completamente salendo sul Palco dell’Ariston, arrivando secondo con un testo di rara semplicità ed efficacia.

Ma Faletti era davvero un grande trasformista.

Amava scrivere e il suo romanzo d’esordio: “Io uccido” ha venduto 4 milioni di copie.

Eccola la seconda trasformazione di Faletti, o il suo passaggio finale, verso una definitiva consacrazione dopo aver attraversato sentieri e percorsi differenti.

Per questo con la sua scomparsa, nella malattia che lo ha colpito,  l’ultimo trasformismo non è stato possibile, non gli è riuscito e non ci è stato concesso di poterlo vedere coi nostri occhi.

Ma rimane tutta la mia ammirazione non per il comico, non per il cantautore durante quel Sanremo del 1994 e neppure per la sua lunga lista di romanzi che ha firmato come scrittore, ma per la sua straordinaria capacità di trasformarsi in qualcosa di diverso.

‘A volte, la fatica cancella tutto e non concede la possibilità di capire l’unico modo valido di seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia. Tutto intorno è un continuo inseguirsi di facce e ombre e voci, persone che non si pongono nemmeno la domanda e accettano passivamente una vita senza risposte per la noia o il dolore del viaggio, accontentandosi di spedire qualche stupida cartolina ogni tanto”. Giorgio Faletti – Io uccido – 2002