Moda italiana, che succede?

E’ di questi giorni la notizia che un’altra Azienda storica del lusso italiano Loro Piana ha ceduto la proprietà al colosso francese LVMH.

Qualche tempo prima la Bulgari aveva seguito lo stesso percorso.

Resistono: Prada, Giorgio Armani e pochissimi altri, penso per esempio, alla famiglia Missoni, a mantenere il controllo totale dell’Azienda, senza acquisizioni, fusioni o interventi di qualche fondo estero per cedere una quota della società.

Nei vari dibattiti di questi giorni, è prevalsa forse una certa “miopia” nel leggere gli avvenimenti.

Da una parte la paura di lasciare ai colossi francesi con la logica delle acquisizioni, quel patrimonio che i marchi italiani hanno rappresentato anche per il Paese stesso.

E uno Stato che, impotente, non fa nulla, o peggio soffoca le Aziende con la burocrazia e una imposizione fiscale altissima, quasi insostenibile per molte realtà della moda.

Dall’altra, con l’acquisizione di questi marchi come Bulgari e Loro Piana, per citare gli ultimi due in ordine di tempo, bisogna valutare di come l’eccellenza venga riconosciuta dai grandi colossi francesi che investono risorse per acquisirne il controllo.

Se un’Azienda italiana viene valutata molto significa che il “Made in Italy” vale molto e che, lo stesso patrimonio di conoscenza e di esperienze professionali, viene mantenuto nel tessuto nazionale e non esportato in Francia.

Ma dove sta la verità?

Questa volta, non propriamente nel mezzo.

In un mercato globale e sempre più concorrenziale i grandi marchi hanno bisogno di grandi investimenti per far fronte a nuove aperture di punti vendita in ogni parte del mondo che, continuamente, richiedono la presenza di questi marchi in tutti quei Paesi che vivono il lusso come “lifestyle” e come punto di riferimento indispensabile: si pensi ai nuovi mercati asiatici, russi e dei Paesi Arabi, Dubai su tutti.

Solo i grandi colossi oggi, riescono a consentire questi investimenti così continui e massicci.

E’ in crisi il concetto di azienda familiare come Bulgari e Loro Piana, che da soli, non possono più far fronte alla continua richiesta di immissioni di Capitali che la Moda e il Lusso richiedono e pretendono ogni giorno.

In una recente intervista, Patrizio Bertelli, affermava come fosse stato fondamentale per Prada, a causa di un forte indebitamento, decidere l’ingresso in Borsa, avvenuto poi con grande successo per l’Azienda.

Rimanendo, uno dei pochi a “ballare da solo” senza acquisizioni da parte dei grandi colossi francesi.

Già i francesi.

Forse la domanda che bisogna porsi è questa: perché due dei più grandi colossi internazionali della moda e del lusso sono rigorosamente francesi?

Che cosa sono riusciti a fare più di noi per arrivare a sviluppare un sistema che non solo regge ma che, allo stesso tempo, consente loro di acquisire, investire e arricchire sempre più il portafoglio di brand a loro disposizione?

Hanno fatto sistema, un termine ultimamente molto abusato e che sembra non significare granché.

Si tratta sostanzialmente, di remare insieme nella stessa direzione: imprese, banche e amministrazione pubblica per mantenere, innovare e creare nuove opportunità di business, nuove professionalità, nuova ricchezza per il Paese.

La Francia lo fa ormai da diversi anni e con i risultati eccezionali che sono sotto gli occhi di tutti, l’Italia non ancora.

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Se la classe dirigente viene scelta “ad minchiam”

Mi ricordo che quando iniziai a studiare, pensavo sempre che le persone si dividessero fondamentalmente in due categorie: le persone da cui apprendere ed imparare e le persone semplicemente da evitare come la pesta bubbonica.

Poi nel corso degli anni, anche se in maniera assai relativa, ho appreso che forse dividere tutto in maniera così netta, o bianco o nero, non fosse poi il modo migliore per affrontare le cose della vita.

A malincuore, ho cominciato ad affacciarmi, alle zone grigie, a qualcosa di indefinito per me, che fosse difficilmente omologabile.

Me ne sono pentito in fretta. Faccio una fatica maledetta a scendere a compromessi: anzi, diciamo, che non ci scendo e basta.

Ho sempre pensato che il merito, la capacità, l’intelligenza fossero elementi distintivi per scegliere ed essere scelti dalla società, il “materiale umano” che avrebbe formato la nostra classe dirigente: nei luoghi di lavoro, nei partiti politici, nell’amministrazione pubblica e, in ogni dove. Senza se e senza ma.

L’esperienza di vita mi ha fatto capire che non era così.

In questi ultimi 20 anni abbiamo assistito ad un appiattimento generale in ogni ambito della vita del Paese, nessun escluso.

Partiamo dalla politica: pensare di rimpiangere la Prima Repubblica mi era sembrato da sempre, un eccesso di pazzia, un indecente “amarcord”.

Eppure, mi è successo spesso. Incredibile?

In questi ultimi anni nell’arena politica quanti personaggi ci sono “piovuti dal cielo” che vogliono far passare pure per grandi statisti e, noi, che li accettiamo, senza chiederci da dove provengano, chi sono, quali siano i loro CV.

Ci va bene tutto, ma proprio tutto.

Nel lavoro, ho visto carriere fulminanti da parte di personaggi alquanto discutibili: per cultura, curriculum professionali e capacità reali nello svolgimento della loro attività lavorativa.

Di contro ho visto grandi ingiustizie nei confronti di chi meritava molto di più e che, spesso, è stato messo all’angolo, perché semplicemente sapeva fare il suo lavoro e basta.

Ma questo aspetto oggi non è più sufficiente come in passato: prima sapevi fare il tuo mestiere e, per quello venivi rispettato, anche se eri uno che criticava, affrontava i problemi e le questioni a viso aperto.

Oggi, la politica dello “yes man” vince su tutto.

L’idea del capo non si discute, è legge, anche se, oggettivamente, fa davvero cagare.

Non è più come prima, il refrain era: “tengo famiglia”, oggi il gingle che senti è: “obbedisco”.

L’importante è non avere mai una tua opinione, anzi se ce l’hai deve essere omologata a quella che ti hanno detto di dire.

Che mediocrità, ragazzi.

Che voglia di dissentire, argomentare, scontrarsi sulle metodologie per trovare soluzioni alternative magari ottimali e migliori, nate da una critica che possa “costruire” una verità alternativa e molto più valida di chi l’ha elaborata: se il capo ha sempre ragione, spegnete i cervelli e riaccendeteli a casa, magari davanti alla tv, sempre che vi vada.

Mettere il bavaglio al web non è la soluzione.

C’è chi lo considera sacro, intoccabile, la panacea di tutti mali, chi invece non lo conosce e ne limiterebbe di molto l’utilizzo, considerandolo quasi una scocciatura di questi tempi moderni.

Eppure, come sempre, la verità a mio avviso sta proprio nel mezzo.

Il “Web” e il popolo indistinto della Rete, ci hanno svegliato dal torpore: c’è chi ne ha goduto e chi lo ha fatto quasi con insofferenza.

Eppure, non condivido, per esempio: chi con pseudonimi, facce finte, crea account farlocchi, nascondendosi dietro a una maschera che rappresenta unicamente la propria vigliaccheria, sfogando istinti repressi nella vita quotidiana, nella società reale, per scaraventarli poi con violenza dentro ai “Social”.

Questi “Cuor di leone 2.0” prendono di mira qualsiasi personaggio, sicuri di poter passare indenni davanti a qualsiasi tipo di sanzione, consentendogli così di poter dare impulso ai propri istinti primordiali causati, spesso, dalle proprie frustrazioni personali.

Credo che, come sempre accade, anche le invenzioni più straordinarie come i “Social network” poi possano essere utilizzate anche dagli imbecilli, ahinoi.

Anche se per fortuna rimangono ancora una esigua minoranza.

Prendiamo uno strumento come Facebook o lo stesso Twitter: essi, ci consentono, utilizzati nel modo giusto, di poter entrare in contatto in maniera diretta e con assoluta immediatezza, per esempio: con un leader politico, uno sportivo, uno scrittore che amiamo per chiedere, scoprire o fargli conoscere il nostro punto di vista.

Questo sarebbe l’uso ideale del social network.

Se poi ad alcuni serve solo per sfogare le proprie frustrazioni, per insultare o peggio ancora minacciare, credo che il problema non sia dei social network, ma semplicemente che: “la mamma degli imbecilli sia sempre incinta”.

Se alla base di questi comportamenti disdicevoli sui social network da parte di alcuni, ci sono, poi, nell’ordine: ignoranza, vigliaccheria e incapacità di argomentare le proprie opinioni, non è che buttando il bambino con l’acqua sporca che si risolverà il problema.

Il tema di fondo da analizzare è, a mio avviso, la mancanza di cultura, di senso civico e, soprattutto, di educazione.

Avete mai provato a ricevere una mail ricca di insulti e poi chiedere a quella persona di incontrarsi per sentire le sue argomentazioni?

A me è successo, l’insultatore via web, da Leone dietro al pc, una volta posto di fronte ad un caffè, al mondo reale e alla mia faccia si è trasformato magicamente in un docile agnellino, senza argomentazione alcuna.

Quasi fosse un’altra persona.

Ma questo sarebbe un altro tema che approfondirò in un prossimo post.

Il tema sarà: “la vigliaccheria ai tempi di internet”.