Lavorare per vivere o vivere per lavorare?

lavoro vita

“L’importante è che ci sia il lavoro” la frase che viene ripetuta continuamente dagli anziani ai giovani mi fa sorridere e riflettere allo stesso tempo.

Sorridere, perché ci stiamo rassegnando al fatto che il lavoro nella nostra vita sia tutto.

Riflettere, perché vedere tanti giovani senza un lavoro mi lascia davvero spiazzato.

In un’epoca di crisi economica ed occupazionale, dove numerosi guru dicono che quasi la totalità dei lavoratori tradizionali potrebbero essere sostituiti dal lavoro di macchine, algoritmi, extraterrestri etc, proviamo ad immaginare uno scenario ideale che nessun economista sano di mente sa che potrebbe mai rivelarsi: arrivare alla piena occupazione di tutta la forza lavoro.

Titolo a nove colonne sui quotidiani: “Non esiste più la disoccupazione in Italia. Presto anche in Europa e nel resto del mondo”.

Tutti avremo dunque un lavoro, ma proprio tutti, e così anche gli anziani seduti sulle panchine potranno dire soddisfatti ai giovani del Paese: “l’importante è che ci sia il lavoro. E tutti voi ne avete uno”.

Ora abbiamo finalmente tutti un lavoro per “poterci permettere una vita”.

Sì, ma la domanda è: “Quale sarà la qualità della mia vita?”.

Penso ai pendolari che ogni mattina riempiono treni che sembrano carri bestiame e così ogni sera finita la giornata di lavoro.

“Mi sveglio alle 6 del mattino, treno alle 7 alle 8,30 sono in ufficio fino alle 12,30. Pausa pranzo fino alle 14,00 e poi attacco nuovamente fino alle 18,00.

Poi di corsa, il treno per tornare a casa, non prima di aver sgominato sulla metropolitana, per arrivare a casa alle 20,00.

Preparo la cena e alle 22 mi addormento stravolto. Così tutti i giorni dal lunedì al venerdì.

Però sabato e domenica sono a casa”.

Quindi poi anche il sabato e domenica dopo aver litigato sui mezzi pubblici nei giorni feriali, sono gli stessi che lottano  nelle corsie dei supermercati nella giornata di sabato e che creano gli ingorghi in autostrada per fare la gita al lago di domenica.

“Schiavi moderni” di una società schizofrenica che detta ritmi e stili di vita che forse ci sono sfuggiti di mano.

Abbiamo un lavoro, ma la vita che sognavamo dove l’abbiamo lasciata?

Sacrificata sull’altare del lavoro che per fortuna ce l’abbiamo ma poi non abbiamo il tempo di vivere come vorremmo, con noi stessi, con le persone che amiamo, con i nostri figli.

Andrebbe ripensato un po’ tutto il “sistema”.

Con la giusta conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, asili nido nei luoghi di lavoro, possibilità di telelavoro in alcuni giorni della settimana e, ogni tanto, spegnere gli smartphone con gente che ti manda mail alle 20 di sera e se non gli rispondi ha pure di che lamentarsi.

In Francia esiste una Legge che se ti arriva una mail di lavoro dopo il tuo normale orario di lavoro non sei tenuto a rispondere se non il giorno dopo. E se te l’hanno scritta il venerdì sera alle 20, sei tenuto a rispondere il lunedì successivo all’inizio del tuo orario di lavoro.

Meditiamo su che tipo di lavoratori vogliamo essere e su che tipo di vita vogliamo condurre.

Per noi e per le future generazioni cui non stiamo lasciando granché.

 

 

 

 

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Il club dei “fottuti”

“E’ la piramide rovesciata” così mi disse un passeggero durante la tratta Roma Milano, di ritorno da uno dei tanti viaggi che, per fortuna, mi è capitato di fare nella mia vita.

Visto il mio legittimo smarrimento a tale affermazione, il mio compagno di viaggio tentò di spiegarsi meglio: “Significa che se sei nato da metà degli anni Settanta in poi, sei praticamente fottuto”.

Intanto pensando alla mia carta di identità che diceva in maniera inequivocabile che facevo parte del “club dei fottuti” cercai di approfondire ulteriormente ciò che il mio “guru ad alta velocità” intendeva dire.

“Si tratta del rapporto inverso che intercorre oggi tra il tuo titolo di studio e la tipologia di lavoro che effettivamente svolgi”.

Ripensando alle tante storie di ragazze e ragazzi che dopo lauree e master ( spesso pagate dai genitori ) si sono ritrovati a fare lavori un po’ meno in linea con le aspettative dei neo laureati, cominciavo forse a comprendere, così lui, proseguì: “La differenza sta tutta qui. Prima se il tuo titolo di studio non contemplava laurea e master, c’era la concreta possibilità che tu potessi ambire a posizioni di vertice e professionalmente stimolanti. Oggi, con laurea e master ottieni sovente, se li trovi, lavori deprimenti e non in linea con il tuo percorso di studio: eccola la piramide rovesciata”.

“Spiattellata” così la cruda verità:.

“Nato prima degli anni settanta, basso titolo di studio, possibilità di carriera comunque medio alta. Nato dopo gli anni settanta, accontentati e ringrazia che hai un lavoro figlio mio”.

Lo guardai, cercando in lui una sorta di assenso.

Lui mi fissò sorridendo e disse: “E’ così, benvenuto nella generazione dei fottuti”.