Il Viaggio.

Forse il più grande errore da parte mia è stato quello di capirlo tardi. Ma come ti insegnano da sempre: “Meglio tardi che mai”.

Hai voglia di partire, di lasciarti per un momento tutto alle spalle e di abbracciare quello che ti aspetta.

Il nuovo, il diverso, lo sconosciuto.

Pronto a riconoscerlo come qualcosa che cercavi da sempre: vivendolo con occhi nuovi, rinnovati da tante esperienze passate che ti hanno segnato, scalfito e perché no, talvolta affossato.

Gli stessi occhi che hanno saputo leggere tutte le situazioni.

E questo tuo viaggio hai solo voglia di viverlo da solo, per arricchirti come piace a te, come vuoi te, con quel sano egoismo che spesso, anche se in molti potrebbero pensare il contrario, non ho fatto vincere proprio quando sarebbe davvero servito.

Vi lascio con quello che un Vecchio saggio disse a Tiziano Terzani sull’Himalaya.

“Il vero guru è quello che sta dentro di te, qui. Tutto è qui. Non cercare fuori di te. Tutto quello che potrai trovare fuori è per sua natura mutevole, impermalente. La sola stabilità che può aiutarti davvero è quella interiore”.

Inutile dire che partirò con la trilogia del grande giornalista nel mio bagaglio: “Un indovino mi disse” – “Un altro giro di giostra” e ” La fine è il mio inizio”.

 

 

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Testa dritta

“La vera misura di un uomo la si vede da come questo tratta una persona dalla quale non potrà ottenere nulla in cambio”.  Samuel Johnson

Vivo male questi tempi moderni.

Vedo in giro troppi personaggi omologati, privi di personalità, stereotipati, in fin dei conti vedo una gran massa di pecoroni.

Fa troppa paura, dire qualcosa di diverso, originale, di pensato, di proprio.

Meglio recitare la propria parte che ci hanno dettato, ripeterla a memoria con convinzione e, finanche con un ipocrita entusiasmo e non pensarci su, tanto fanno tutti così, no?

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù diceva Mary Poppins ai bambini.

Così pensiamo noi, mandiamo giù questo amaro calice e non pensiamoci.

Tutti attenti a dire le stesse frasi, che mostrare di avere un cervello non stereotipato fa troppa paura a questa società appiattita su se stessa ogni giorno di più.

Come se uscire dal seminato fosse un delitto mostruoso di cui vergognarsi, meglio tutti coperti ed allineati.

Mi mancano i personaggi che c’erano negli anni ’70 forse perché usciti da un’altra epoca, sembrano passati secoli da allora eppure in pochi anni siamo diventati tanti moderni zombie di cui spesso ho più paura che di quelli, spesso confinati ai margini, considerati pazzi, forse perché diversi e che si sono rifiutati con coraggio di non allinearsi alla massa.

 

 

 

 

 

 

Lavorare per vivere o vivere per lavorare?

lavoro vita

“L’importante è che ci sia il lavoro” la frase che viene ripetuta continuamente dagli anziani ai giovani mi fa sorridere e riflettere allo stesso tempo.

Sorridere, perché ci stiamo rassegnando al fatto che il lavoro nella nostra vita sia tutto.

Riflettere, perché vedere tanti giovani senza un lavoro mi lascia davvero spiazzato.

In un’epoca di crisi economica ed occupazionale, dove numerosi guru dicono che quasi la totalità dei lavoratori tradizionali potrebbero essere sostituiti dal lavoro di macchine, algoritmi, extraterrestri etc, proviamo ad immaginare uno scenario ideale che nessun economista sano di mente sa che potrebbe mai rivelarsi: arrivare alla piena occupazione di tutta la forza lavoro.

Titolo a nove colonne sui quotidiani: “Non esiste più la disoccupazione in Italia. Presto anche in Europa e nel resto del mondo”.

Tutti avremo dunque un lavoro, ma proprio tutti, e così anche gli anziani seduti sulle panchine potranno dire soddisfatti ai giovani del Paese: “l’importante è che ci sia il lavoro. E tutti voi ne avete uno”.

Ora abbiamo finalmente tutti un lavoro per “poterci permettere una vita”.

Sì, ma la domanda è: “Quale sarà la qualità della mia vita?”.

Penso ai pendolari che ogni mattina riempiono treni che sembrano carri bestiame e così ogni sera finita la giornata di lavoro.

“Mi sveglio alle 6 del mattino, treno alle 7 alle 8,30 sono in ufficio fino alle 12,30. Pausa pranzo fino alle 14,00 e poi attacco nuovamente fino alle 18,00.

Poi di corsa, il treno per tornare a casa, non prima di aver sgominato sulla metropolitana, per arrivare a casa alle 20,00.

Preparo la cena e alle 22 mi addormento stravolto. Così tutti i giorni dal lunedì al venerdì.

Però sabato e domenica sono a casa”.

Quindi poi anche il sabato e domenica dopo aver litigato sui mezzi pubblici nei giorni feriali, sono gli stessi che lottano  nelle corsie dei supermercati nella giornata di sabato e che creano gli ingorghi in autostrada per fare la gita al lago di domenica.

“Schiavi moderni” di una società schizofrenica che detta ritmi e stili di vita che forse ci sono sfuggiti di mano.

Abbiamo un lavoro, ma la vita che sognavamo dove l’abbiamo lasciata?

Sacrificata sull’altare del lavoro che per fortuna ce l’abbiamo ma poi non abbiamo il tempo di vivere come vorremmo, con noi stessi, con le persone che amiamo, con i nostri figli.

Andrebbe ripensato un po’ tutto il “sistema”.

Con la giusta conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, asili nido nei luoghi di lavoro, possibilità di telelavoro in alcuni giorni della settimana e, ogni tanto, spegnere gli smartphone con gente che ti manda mail alle 20 di sera e se non gli rispondi ha pure di che lamentarsi.

In Francia esiste una Legge che se ti arriva una mail di lavoro dopo il tuo normale orario di lavoro non sei tenuto a rispondere se non il giorno dopo. E se te l’hanno scritta il venerdì sera alle 20, sei tenuto a rispondere il lunedì successivo all’inizio del tuo orario di lavoro.

Meditiamo su che tipo di lavoratori vogliamo essere e su che tipo di vita vogliamo condurre.

Per noi e per le future generazioni cui non stiamo lasciando granché.