Scapoli contro ammogliati

Sembra come quando nel celebre film di Fantozzi, si organizzavano le famose partite di calcio tra “scapoli” e “ammogliati”.

Così oggi, in compagnia dei tuoi amici puoi decidere di organizzare un aperitivo-cena-dopocena con un gruppo di “vecchi compagni di viaggio” e, subito, saltano all’occhio le due categorie contrapposte: chi è scapolo e chi è ammogliato.

Intendiamoci, spesso chi convive pur non essendo sposato, è comunque parte integrante del gruppo degli “ammogliati”.

Sono gli scapoli impenitenti a sedersi (s)comodamente dall’altra parte della barricata.

Anche se, notevoli, affiorano differenze.

L’uomo convivente – sposato, dopo un passaggio obbligato verso il “fisico divano” imborghesito da un rapporto ufficiale così rassicurante e monotono allo stesso tempo, decide in maniera repentina, al primo accenno di doppio mento e “pancetta” un tuffo immediato nell’attività fisica estrema.

“A mali estremi, estremi rimedi” afferma il mio compagno di sbronze di tanti anni fa, davanti ad un bicchiere di the al limone.

“Basta alcool e bibite gasate, non potevo stare fermo a non far niente per contrastare il cedimento strutturale del mio fisico” continua sempre più con enfasi e convinzione estrema; nella sua personale battaglia quotidiana contro l’imborghesimento prematuro, la disciplina ferrea è la prima regola da seguire rigidamente.

Ciò che in effetti affiorano con prepotenza nei racconti degli ammogliati, sono indubbiamente, le passioni sconfinate ed irrazionali nei confronti degli sport estremi in cui si sono lanciati con veemenza: traversate a nuoto, arti marziali, scalate di pareti o montagne rocciose e chi più ne ha più ne metta.

Racconti deliranti che si ascoltano tra amici in maniera stanca, molto stanca.

Anche se lo sport ibrido per eccellenza rimane sostanzialmente questo: la playstation sul divano.

Maratone interminabili che porterebbero allo sfinimento chiunque, persino i giocatori virtuali costretti a partite che vanno ben oltre i 90 minuti regolamentari.

In tutto questo lo scapolo osserva, valuta e sorride.

Per ora, il pericolo è scampato: può ordinare serenamente un’altra birra fino a quando l’amore non travolgerà anche lui, con tutti i rischi del caso.

Ma, per il momento, vince lui.

 

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Eterni apprendisti

Questa è la storia di un giovane che a 30 anni ha deciso dopo varie esperienze all’estero, di tornare in Italia.

Oggi invece, tanti come lui, fanno il percorso inverso, dall’Italia che non offre più nulla, verso nuove destinazioni estere, alla ricerca spasmodica di un lavoro e uno stipendio degni di questo nome.

Stefano a 18 anni ha lasciato l’Italia deciso a vivere un’esperienza di vita e di lavoro in Scozia e  in Australia.

Gli anni trascorsi prima a Glasgow e poi a Sidney sono stati entusiasmanti, divertenti e pieni di vita: lavoro e divertimento, guadagni e capacità di risparmio notevoli, impensabili nel nostro Paese.

“Sono stati 10 anni favolosi che non dimenticherò mai” afferma Stefano e continua: “Avrei potuto rimanere ancora un anno in Australia fino al compimento dei 30 anni, ma ho preferito tornare dalla mia ragazza cui era scaduto il visto turistico”.

L’arrivo in Italia però, ha portato a Stefano brutte sorprese.

“Prima di tutto la difficoltà a trovare un impiego e, non ultimo, il tentativo continuo, da parte dei datori di lavoro, di non voler riconoscere in alcun modo gli anni di esperienza svolti all’estero, sono stati davvero un grande problema”.

L’onda lunga della crisi Stefano la sta vivendo solo ora, dopo che l’Australia sembrava così lontana, non solo dal punto di vista geografico ma anche da quello relativo alla crisi economico-finanziaria.

“E’ stato traumatico dover accettare stipendi miseri e con contratti di apprendistato come se i 10 anni di esperienza in questo mestiere e per di più effettuati all’estero, non contassero nulla”.

Stefano a 30 anni non arriva a guadagnare neanche 900€ al mese e facendo il cameriere di sala in un grande ristorante di Milano ha dovuto accettare il contratto di apprendista.

“Con tutto il rispetto per colleghi più anziani di me, non credo di dover apprendere come un ragazzo di 18 anni che inizia adesso a fare questo mestiere, sono certo che 10 anni di esperienza professionale continua, misurandomi anche con realtà estere, differenti per cultura dalla nostra, mi hanno insegnato tantissimo:  non posso essere messo sullo stesso livello di un ragazzo che inizia oggi questo mestiere”.

Perché in Italia ci chiediamo, una persona deve partire sempre daccapo ?

Sembra il Paese degli “Eterni apprendisti”.