Provo un grande affetto per la famiglia Trussardi, probabilmente perché sono stato da giovanissimo un dipendente della loro azienda dal 2000 al 2005.
Quando entrai in quella che più che una Società per Azioni sembrava una famiglia allargata, Nicola era scomparso tragicamente da un anno: era a capo dell’azienda di famiglia che era stata fondata da Dante Trussardi nel 1911 e che produceva guanti di pelle.
Nicola, con la moglie Maria Luisa, attua la rivoluzione in azienda: la plasma a sua immagine e somiglianza allargandone la produzione, in un’ottica che i sociologi dei consumi chiamano di brand stretching, non solo guanti ma anche accessori, abiti, piccola pelletteria e valigeria, inventando il logo del Levriero, diventato simbolo del brand.
Poi, come detto la tragedia della scomparsa di Nicola nel 1999 e l’azienda che passa ai figli, con Francesco come amministratore delegato.
Per la festa di Natale, nel 2002, la famiglia Trussardi invitò noi dipendenti a Villa Trussardi a Bergamo Alta: ricordo ancora, ognuno di loro. Ci accolsero in maniera sublime, c’erano Maria Luisa, Francesco, Beatrice, Gaia e Tomaso.
Solo qualche settimana dopo, Francesco Trussardi perse la vita, anche lui come il padre in un incidente stradale.
Il dramma si era ripetuto in un lasso di tempo maledettamente breve.
Oggi ho letto una toccante intervista a Gaia Trussardi, in occasione dell’uscita del suo libro: “Cara morte, amica mia” dove racconta quello che è accaduto alla sua famiglia, definita da molti media la famiglia Kennedy italiana per le disgrazie che le sono capitate, ma – più di ogni altra cosa – Gaia racconta quello che è accaduto a lei.
Partendo dal presupposto che nascere in una famiglia ricca, conosciuta e privilegiata le abbia quasi tolto – inconsciamente – il diritto di poter soffrire così come ha dichiarato nell’intervista, Gaia Trussardi nel suo libro guarda negli occhi la morte e il dolore che provoca, cercando di sopravvivere ad una doppia ed insopportabile perdita.
Nel suo libro definisce la morte “cara amica” e “sorella siamese” perché, a suo avviso, lo scopo del libro è quello di imparare a non farsi sopraffare dalla sua paura che se non l’affronti, t’inchioda.
Quando morì il padre, fuggì a Londra dove studiava, schiacciata da quella perdita improvvisa ed inaspettata; mentre quando qualche anno dopo morì tragicamente anche il fratello Francesco, Gaia comprese come non si possa più fuggire, ma solo restare accanto alla persona che in quel momento aveva più bisogno di lei: sua madre Maria Luisa.
Da quel momento comprende così come l’esistenza non finisca con la morte.
In questo libro, Gaia Trussardi, 45 anni, 2 figli dal primo marito e oggi sposata con l’attore Adriano Giannini, ha voluto sottolineare come:
“La nostra società esclude l’idea della fine. Volevo condividere la mia esperienza e magari aiutare chi non riesce a tradurre in parole quello che sente”.
Un libro coraggioso scritto da una ragazza fortunata diventata donna sfortunata in una manciata d’anni, affrontando con coraggio un tragico destino che ha strappato alla sua famiglia un marito e padre, un figlio e un fratello.
Da leggere anche per imparare che il destino non guarda in faccia a nessuno, ma non per questo non si possa affrontare con coraggio e guardandolo dritto negli occhi.