Era nell’aria: non è chiaro se lo volesse sostanzialmente lui o se lo chiedessero anche gli stessi azionisti che da quando Gucci, dall’uscita di Alessandro Michele, non ha più inanellato numeri da record in serie facendo storcere il naso sia ai numeri di Kering, ma soprattutto ai suoi azionisti che si erano abituati, ormai da tempo, a stappare lo champagne quando si trattava di incassare dividendi.
C’è da dire che da quando Pinault Junior subentrò a Pinault Senior che aveva iniziato la sua scia di acquisizioni con marchi trasversali che andavano oltre alla moda: Conforama, una azienda di trattori in Sudafrica, Redtemps etc; il passaggio a polo del lusso per fare concorrenza all’acerrimo nemico Arnault non ha portato i risultati sperati.
Una volta dismessi i brand non lusso, compreso Puma, ci sono state acquisizioni più di cuore che di sostanza: Brioni da una parte e Ulysse Nardin dall’altra con il concorrente LVMH che invece acquisiva Loro Piana e Bulgari.
Le perdite poi, dovute a recente acquisizioni che hanno fatto passare il focus da polo del lusso ad una vera e propria diversificazione della holding – non ultima l’investimento su un’agenzia di attori ad Hollywood – senza dimenticare gli investimenti massicci in immobili salvo poi fare marcia indietro una volta che Gucci non ha fatto più da locomotore del Gruppo francese con le sue performance straordinarie. A fine 2024 Kering registrava debiti per 10,5 miliardi e a breve, dovrà far suo l’impegno di rilevare il 100% di Valentino di cui detiene il 30%, quella maison dove oggi la guida creativa è stata affidata proprio a quell’Alessandro Michele che tanto aveva fatto da Re Mida dalle parti di Firenze.
Lasciare la guida dell’azienda come CEO per rimanerne Presidente è una scelta strategica, ma che vuole avere anche una sorta di effetto elettrochoc per una holding che forse si è spinta troppo oltre.
Sarà Luca De Meo, che ha dato dalle dimissioni da Renault dove ha fatto registrare performance strabilianti aiutando la casa automobilistica francese a riprendersi da anni di numeri negativi: sarà capace cambiando settore – quello dell’automotive di cui ha fatto sempre parte – a raggiungere le stesse vette?
Pinault lo spera, insieme ai suoi azionisti malinconici per i tempi che furono.
A pochissimi giorni dal mancato quorum sui 4 quesiti sul lavoro e sul quinto sulla cittadinanza, la notizia che (non) ti aspetti.
La chiamavano la ‘Triplice’: Cgil, Cisl e Uil che quando si tentava di parlare di unità sindacale per portare avanti le istanze dei lavoratori con i vari governi e le varie associazioni datoriali, c’era qualcuno all’interno di ogni Confederazione che (forse) ancora ci credeva: ebbene, l’ottimismo di quei pochi rimasti, oggi ha ricevuto l’ennesimo sganassone (in)aspettato.
Terribile, sì, definitivo, no: di certo ‘però a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si prende’ parafrasando una frase celebre, tanto quanto chi la pronunciava sovente, se è già agli atti che l’ex segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, poco dopo aver lasciato la guida del sindacato, viene chiamato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni a far parte dell’Esecutivo con un ruolo importante come quello di Sottosegretario alla presidenza del Consiglio per il Sud.
E’ stato nominato come ‘indipendente’ ed ha già giurato al Quirinale:
“Il mio impegno sarà massimo per contribuire al rafforzamento dei processi di crescita, sviluppo, coesione e occupazione nel Mezzogiorno”, ha assicurato indicando tra gli obiettivi di “colmare i divari storici e valorizzare le opportunità disponibili, a partire dalle risorse del Pnrr, dagli Accordi di Coesione sottoscritti con tutte le regioni meridionali e dall’attuazione della Zes Unica”.
Come si sta dalla parte dei sindacati?
Da una parte la Cgil che con la Uil sembravano quasi essere una cosa sola nelle battaglie sindacali, al contrario della stessa Cisl che ha sempre voluto ‘distaccarsi’ dalle altre due confederazioni su grandi temi come quello, per esempio del salario minimo; o ancora, come quello sull’articolo 46 per la partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa, fortemente voluto dalla Cisl con una raccolta firme che ha portato sia Camera che Senato a farlo diventare Legge, seppur con diversi rimaneggiamenti.
Quello che è da sottolineare è che, da sempre, sin dall’inizio della storia repubblicana del nostro Paese, i sindacalisti più importanti sono stati protagonisti della vita politica italiana a partire da Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil ed ex bracciante agricolo, e Achille Grandi della Cisl e cofondatore delle Acli, protagonisti dell’Assemblea Costituente. Poi, come si vede, dal grafico, tra gli altri: Lama, Trentin, Marini e D’Antoni con le ultime due segretarie generali, rispettivamente di Cgil e Cisl, Camusso e Furlan elette con il Pd, con la Furlan poi passata a Italia Viva.
Non credo che lo stesso Landini, attuale segretario generale della Cgil, disdegnerà un prossimo futuro in politica con un partito dei lavoratori come auspicato oggi sulle pagine del Fatto Quotidiano a firma di Montanari e Pallante, ma nel frattempo l’ex segretario generale della Cisl ha bruciato sul tempo tutti, entrando direttamente nella squadra di governo.
In un’epoca in cui la sfiducia verso i corpi intermedi è alta, il rischio è che i sindacati perdano il loro ruolo originario di voce degli iscritti per trasformarsi in protagonisti della politica. Il sindacato deve restare autonomo. Non apolitico, ma libero da logiche di partito.
Solo così potrà tornare ad essere una forza credibile, capace di parlare a tutti i lavoratori, al di là delle ideologie.
📋 Ex sindacalisti eletti alla Camera dei Deputati (in ordine cronologico)