Dallo scorso fine settimana, sono letteralmente crollato: nulla di grave, un’influenza infingarda di quelle che oltre a debilitarti nel fisico, ti porta giù anche nel lavoro intellettuale.
Che è quello che più mi serve: pare che tutto si annebbi e, oltre alla stanchezza cronica, non riesci neppure a scrivere due righe.
In compenso, però, ho letto.
Un romanzo di uno scrittore ungherese, Sándor Márai: “Confessioni di un borghese” acquistato da mio padre, a cui ho chiesto di passarmelo una volta finito.
Uno scrittore clamoroso e una storia – la sua – che mi ha colpito; senza scomodare Goethe (autore che tra l’altro viene citato spesso da Márai nel libro) con le sue ‘Affinità elettive’ ho trovato tra le righe di quest’opera di 500 pagine, troppe analogie con quello che sto vivendo, che sognavo e che sogno.
Il caso non esiste, pensavo mentre lo leggevo: mio padre che acquista il volume dopo aver letto una recensione di questo autore nelle pagine culturali del ‘suo’ quotidiano; io che mi ritrovo nel passato, presente e, incredibilmente, futuro della mia esistenza mentre divoro ogni singola pagina di quest’opera straordinaria.
Dicevamo di quelle che si chiamano coincidenze che, forse, a causa dell’età che avanza tendi ad identificare con qualcos’altro: fato, magia, destino.
E di questo s’è trattato, ne sono certo.
Un libro che si ambienta (anche) in una città tedesca dove presto andrò (chi mi segue con assoluta costanza lo scoprirà presto) e che racconta la storia, autobiografica, di Márai e delle sue (dis)avventure come giornalista e scrittore.
Un libro che mi ha insegnato quello che ancora non sapevo e mi ha fatto conoscere la città che vivrò intensamente grazie ad un progetto professionale – oltre che stimolante – assolutamente di grande interesse civile.